A cura della Dott.ssa Francesca Saccà, psicologa e psicoterapeuta a Roma
Da sempre l’uomo è alla ricerca di quelle emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato di benessere chiamato felicità.
Se qualcuno vi chiedesse che cos’è la felicità sapreste rispondere? Vi do un suggerimento: potreste dire che è quell’insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia in un momento più o meno lungo della nostra vita.
Secondo Argyle (1987), il maggiore studioso di questa emozione, la felicità è rappresentata da un senso generale di appagamento complessivo che può essere scomposto in termini di appagamento in aree specifiche quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l’autorealizzazione e la salute.
Ma che cosa ci accade esattamente quando siamo felici? Maslow (1968) e Privette (1983) riferiscono che le persone che si trovano in una condizione di felicità avvertono con maggiore intensità le sensazioni corporee positive e con minore intensità la fatica fisica, e sperimentano uno stato di concentrazione e appagamento.
Spesso le persone felici si sentono più libere e spontanee, riferiscono una sensazione di benessere in relazione a se stesse e alle persone vicine e descrivono il mondo circostante in termini più significativi e colorati.
A livello fisiologico le persone che sperimentano la felicità presentano un’attivazione generale dell’organismo che si manifesta con un’accelerazione della frequenza cardiaca, un aumento del tono muscolare e della conduttanza cutanea e infine una certa irregolarità della respirazione.
Ma da cosa dipende la felicità? Secondo teorie contemporanee la felicità è essenzialmente provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è una emozione oggettiva ma una capacità individuale, non è casuale come un evento del destino ma una capacità da scoprire ed imparare.
Dunque si può e bisogna imparare ad essere felici!
Secondo lo psicologo sociale Gilbert il miglior predittore della felicità sono le relazioni umane e la quantità di tempo che le persone passano con amici e familiari.
Una cosa più importante dei soldi e talvolta più importante della salute, anche se spesso questa profonda verità sfugge alla maggior parte. Secondo questo studioso circondarsi di “cose” restituisce solo in parte ciò che si ottiene circondandosi di persone.
In definitiva per Gilbert la solitudine affettiva è la forma di povertà più acuta di infelicità umana.
Ma c’è anche un elemento molto importante da considerare nelle nostre riflessioni, ossia la relazione tra felicità e caratteristiche di personalità: in particolare, secondo D’Urso e Trentin (1992), sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative all’estroversione, alla fiducia in se stessi, alla sensazione di controllo su se stessi e sul proprio futuro.
Volendo tracciare il profilo di una persona felice potremmo dire che è una persona che sta bene con se stessa e che percepisce una fondamentale congruenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. In sostanza, più le persone riescono ad accettarsi per quello che sono, più sono felici.
Analogamente, quanto più una persona ritiene di poter ragionevolmente controllare gli eventi che gli accadono nella sua vita più è felice, e, in particolar modo, è più felice di chi si considera in balia del caso o degli altri.
Essere felici fa dunque bene alla nostra salute psicologica e fisica.
D’Urso e Trentin (1992) ci suggeriscono delle strategie che possono aiutarci a sentirci felici o a recuperare il buonumore quando lo si è perso. Vediamole:
– Stare in compagnia di persone felici, che ci sanno arricchire e non impoverire
– Non attribuire interamente a noi stessi la responsabilità degli eventi spiacevoli che ci capitano. Smettere con inutili sensi di colpa e imparare a guardare avanti con maggior fiducia in noi stessi
– Non fuggire i pensieri negativi ma imparare ad accoglierli e a pensare bene
– Fare esercizio fisico
– Non confrontare la nostra condizione (salute, bellezza, ricchezza ecc.) con quella degli altri
– Individuare quello che ci piace nel nostro lavoro e valorizzarlo
– Curare il corpo e l’abbigliamento
– Riconoscere i legami tra cattivo umore e cattivo stato di salute: spesso è il malessere fisico, più che altri fattori oggettivi, a determinare un cattivo umore
– Dimensionare le nostre aspettative alle capacità e alle opportunità medie della situazione
– Aiutare le persone a cui piace essere aiutate
– Non fare progetti a lunga scadenza
– Non trarre conclusioni generali dagli insuccessi.
– Fare una lista delle attività che personalmente ci fanno stare di buon umore e praticarle quotidianamente
Riferimenti bibliografici
“Felicità: istruzioni per l’uso”. Tratto dal libro Perdersi per poi ritrovarsi, Francesca Saccà, Società editrice Dante Alighieri, Roma
“Alla ricerca della felicità”. A cura della Dott.ssa Eleonora Maino
Salvio Corelli says:
Complimenti per l’articolo Dott.ssa Saccà.
In effetti sembra la descrizione riguardante il cambiamento che è avvenuto in me durante la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Ho sentito che i miei sensi si acuivano e che c’era un’apertura verso l’esterno. Paradossalmente non sentendo più il bisogno di avere il controllo di me stesso al 100%, ho acquisito maggior controllo sulla mia vita.
Grazie, in gran parte, agli strumenti e alle strategie apprese durante la terapia mi ritrovo nella condizione descritta nell’articolo.
Un caro saluto.