A cura della Dott.ssa Francesca Saccà, psicologa a Roma
Le notizie sull’espandersi dell’influenza “A”, sono all’ordine del giorno: che si tratti di ricoveri, di situazioni cliniche compromesse o di decessi, quasi tutti i giorni apprendiamo da telegiornali, quotidiani e radio, di nuovi casi colpiti dal virus A/H1N1.
Da un lato la popolazione è costantemente tempestata da notizie allarmanti circa la pericolosità dell’influenza, dall’altro non riceve le giuste nozioni per comprendere il reale pericolo e soprattutto le modalità di protezione dal suddetto virus. Cresce dunque la confusione che genera uno stato di indefinitezza, su cui si sta scatenando la paura del virus.
In un sondaggio condotto dall’Eurodap, Associazione Europea per il disturbo da Attacchi di Panico, su 2.000 persone intervistate la metà ha risposto di avere paura dell’influenza A e, secondo i risultati emersi, anche coloro che hanno detto di non avere paura comunque mettono in atto meccanismi di evitamento e comportamenti fobico-ossessivi, alimentati proprio dal timore di contrarre il virus.
La fobia del virus si attua in una serie di comportamenti “esasperati”: chiamare il medico per poche linee di febbre, andare spesso su Internet oppure ascoltare continuamente telegiornali per raccogliere le ultime notizie sulla nuova influenza, ma anche comportamenti ossessivi come la ricerca estrema dell’igiene o l’evitamento di posti affollati.
Comportamenti che in forma di prevenzione vari esperti stanno consigliando di adottare, ma che in soggetti fortemente ansiosi possono acquisire una forma fobica.
Possiamo affermare che siamo in presenza di comportamenti ossessivi quando le persone:
– Hanno paura ed evitano di stringere la mano a qualcun altro
– Riducono drasticamente la frequentazione di esercizi pubblici per timore di dover toccare oggetti o persone che possano in qualche modo essere veicoli del virus
– Utilizzano eccessivamente e frequentemente disinfettanti o mascherine
– Limitano le uscite e la frequentazione di luoghi affollati, mezzi pubblici, cinema, centri commerciali, palestre
A questo punto non parliamo più di “prevenzione” ma è già scattato un pericoloso meccanismo di tipo ossessivo che rischia di innescare negli individui dei meccanismi di chiusura, di fuga reciproca, di evitamento. Vivere nella paura di “essere contagiati” limita indiscutibilmente la vita della persona e genera un alto grado di stress con conseguenti disagi sia da un punto di vista fisico che mentale.
Quale è dunque l’atteggiamento psicologico più giusto dinanzi a quanto sta accadendo?
La prima cosa che dobbiamo combattere è la credenza mentale di essere in pericolo, l’obiettivo deve dunque essere quello di “decatastrofizzare” i pensieri circa il contagio, ricordando che quello che ci protegge dalle malattie sono le nostre difese immunitarie che sono tanto più potenti quanto più noi ci sentiamo bene.
Non dobbiamo mai dimenticare la profonda connessione tra mente e corpo e quanto i pensieri distorti possano a volte “contagiare” e far ammalare il corpo più di un virus.
Un atteggiamento ansioso di tipo fobico-ossessivo non fa altro che aumentare il nostro livello di stress e dunque inficiare le nostre difese immunitarie indebolendo il nostro organismo.
Una sana risposta alla paura del contagio è da cercare in un giusto connubio tra precauzione e serenità, che se da un lato prevede comportamenti di prevenzione (mediante l’ascolto dei suggerimenti dall’Organizzazione mondiale della sanità) dall’altro ci richiede di non esasperarli, rimanendo vigili, attenti e presenti a ciò che ci accade senza farci trascinare inutilmente dal vortice della paura o dell’irrazionalità.