Troppo spesso nella vita di tutti i giorni il ruolo che interpretiamo maschera la nostra persona , gli altri ci leggono solo in funzione del personaggio che siamo o dell’incarico che svolgiamo e a volte è molto difficile mostrare tutto quello che c’è dietro il “sipario”….questo succede anche a noi psicologi…
Ecco dei brevi esempi
– Sei uno psicologo, non puoi arrabbiarti, non puoi perdere le staffe, non puoi “NON CAPIRE”
– Occhio che questa ci legge nella mente appena apriamo bocca!
– Dobbiamo stare attenti a parlare con te
– Qui salta fuori che siamo tutti matti
– Attenti che questa ci analizza!
– oh!! non fare sempre la psicologa”…
Gli psicologi non sono stregoni, non leggono nella mente, non hanno la bacchetta magica, sono professionisti della salute mentale ma anche e soprattutto persone con un loro bagaglio emotivo e con le loro storie di vita.
E’ importante riflettere su questo aspetto e io l’ho potuto fare grazie ad una mia collega con cui ho trovato un’immediata sintonia. Parlo di Caterina Comi, psicologa di Siena e curatrice del blog https://storieperfarelecose.wordpress.com
(Un Manuale di sopravvivenza per genitori con figli piccoli).
Nella nostra diversità entrambe teniamo molto a far valere il concetto che dietro il ruolo c’è sempre la persona, in particolare, nel nostro caso, che dietro a uno psicologo c’è sempre una persona.
Per questo motivo abbiamo deciso di guardarci dentro a vicenda, con una bella intervista che Caterina ha intitolato “2×12=2 Due psicologhe, dodici domande, due persone” e che vi invito a leggere per riflettere che, oltre ciò che appare, c’è sempre di più…
1) Che tipo di bambina eri?
Francesca: Una bambina dolce, timida, sensibile, attenta ed allegra. Mi piaceva starmene per conto mio anche se avevo i miei amici del cuore e con loro condividevo i miei giochi. Ma stavo bene anche da sola, con la mia fantasia
Caterina: -Hai sempre fatto quello che ti pare!- mi ha sempre apostrofato mia madre. Ero determinata e sicura di me, sono scappata dall’asilo e anche dalle elementari perché ero arrabbiata con le maestre. La psicologa, la prima della mia vita, che ci esaminò in classe, disse al mio adorato maestro, -Poverino chi se la sposerà!-
2) Il tuo gioco preferito di allora:
Francesca: Sicuramente giochi con le bambole ma anche giochi di fantasia dove mi piaceva inventare storie e magari rappresentarle con qualche bel disegno. Mi piaceva essere creativa, che si trattasse di bambole o altro, mi piaceva “mettere in scena” storie di vita reali o fantastiche
Caterina: Come non ricordare, giocando a “bottega alimentare”, il pezzo di mattone rosso che affettavo per fare i “due etti di prosciutto cotto”? E la mia bici-cavallo, che io chiamavo Bella e il mio primo bambolotto, Filippo, dal nome di un ragazzo grande, un parente, che mi era sembrato bellissimo.
3) Che adolescente eri?
Francesca: Di nuovo utilizzerei gli stessi aggettivi che hanno descritto la “me bambina”: dolce, timida, sensibile, attenta e allegra. Ma, riferendomi a quel periodo, ne scelgo in particolare due: “attenta” al mondo circostante e al mio modo interiore- ricordo che in quel periodo scrivevo molte poesie e molti diari. “Allegra” perché mi piaceva ridere e scherzare con tutti
Caterina: Le medie non furono un buon periodo, e mi ritrovai al liceo timida, anche se lo camuffavo con la spavalderia. Così sembravo una disinvolta, ma avevo sempre paura di essere scoperta sui miei sentimenti, se mi piaceva qualcuno, era un dramma
4) Il tuo ricordo più bello di quel periodo
Francesca: Non ho un ricordo più bello ma tanti ricordi legati alla spensieratezza di allora, le infinite chiacchiere con le amiche, le passeggiate insieme, le feste, i primi amori e i primi sogni
Caterina: Compleanno dei sedici anni, era domenica e andammo con gli amici della Parrocchia in un paesino vicino. Ricevetti il regalo, un maglione verde scuro, e gli auguri in coro sotto un cielo azzurro, mi sentii al centro dell’universo, mi è sempre rimasto impresso
5) Il tuo ricordo meno bello di quegli anni
Francesca: Forse l’insicurezza e la paura di essere accettata dagli altri per come ero
Caterina: Forse la fine della mia festa dei diciotto anni. La tensione per la riuscita che non mi fece godere niente, la discussione con l’allora fidanzato, che desolazione! Non mi va neanche di ricordarlo, a quell’età non si hanno mezze misure
6) Il tuo rapporto, anche ora, con lo studio
Francesca: Un rapporto da sempre ottimo, piacevole e gratificante. Oggi magari faccio più fatica perché ho molti impegni ma è comunque una parte costante di me, fondamentale per la mia crescita professionale ed umana
Caterina:Sono pigra, curiosa e molto emotiva. Mi è sempre piaciuto studiare, ma in modo poco metodico. Le materie che mi piacevano le apprendevo senza fatica, ma con la chimica e fisica al liceo e la statistica all’università.. Però studiare con passione fa imparare cose che poi non si dimenticano più.
7) Quando e perché hai scelto psicologia?
Francesca: La scelta di studiare Psicologia è stata compiuta presto, verso i 17 anni. E’ stato un colpo di fulmine, mi ricordo che stavo sfogliando le pagine di un testo di Filosofia e lessi un paragrafo sui pionieri Freud e Jung; mi affascinava l’idea di esplorare la mente umana…e ho deciso liberamente, ma in questo devo anche ringraziare mia madre che mi ha permesso di compiere una scelta ascoltando la mia “passione”
Caterina: Vagavo nel buio, non sapevo cosa scegliere, la maturità si avvicinava. Guardando un giorno una bambina, sono sempre stata brava e contenta con i bimbi, pensai che potevo provare psicologia, e trasformare questa mia passione e attitudine in studio e lavoro. -Provo per un anno-mi dissi e iniziai.
8)Cosa rimpiangi dell’università?
Francesca: Nonostante la fatica che ha comportato rimpiango il momento di preparazione della tesi che è durato 2 anni ma mi ha permesso di entrare in contatto con molte persone e mi ha arricchito moltissimo dal punto di vista umano
Caterina: Roma! Ho vissuto lì 4 anni. Ora abito in un paesino mediovale di 40 persone, mi piace, ma ogni tanto provo nostalgia, anche delle cose allora più banali e noiose, l’attesa alla fermata dell’autobus, la rosetta, il panino romano e il senso di libertà e intensità che provavo, le amicizie e il tempo che avevo.
9) Il primo ricordo da laureata, da dottoressa
Francesca: La mia gioia e quella dei miei familiari, l’emozione di avercela fatta alla grande, il rammarico di non aver potuto condividere quel momento speciale con mia nonna, la mia più grande “fan”, scomparsa solo un anno prima, a cui comunque ho dedicato la mia tesi.
Caterina: Due: la prima volta che mi chiamarono dottoressa, credevo mi prendessero in giro, feci fatica a rispondere, poi i complimenti di un famosissimo psicologo ad un convegno dopo un mio intervento:”Questa è la cosa più interessante che ho sentito oggi.” Volavo! Sbagliai persino strada al ritorno!
10) Cosa ti piacerebbe ottenere con il tuo lavoro, qual è il tuo scopo?
Francesca: Ho diversi tipi di obiettivi: il primo è quello di permettere ai miei pazienti di tornare a vivere una “vita degna di essere vissuta”, quindi metterli a confronto con le parti di se che hanno perso, con quelle che non hanno mai ascoltato, in poche parole insegnar loro ad amarsi e a vivere amandosi. Un altro obiettivo importante è quello di lavorare sulla comunicazione e sull’informazione psicologica, che credo oggi debba essere fornita a tutti, in maniera chiara, oltre pregiudizi e stereotipi comuni. Faccio questo attraverso il mio blog Psicologo in famiglia dove, attraverso un linguaggio semplice e chiaro, mi rivolgo a tutti coloro che vogliono saperne di più in merito a tematiche di ordine psicologico
Caterina: Devo dire che non volevo più fare la psicologa, voglio scrivere. Però persone come Francesca, mi stanno riconciliando con questa professione. Devo render conto a un mio mondo interiore affollatissimo, ma forse i miei “colori”, come li chiamo io, potranno arricchire altri sguardi
11) A cosa può e cosa non può servire la psicologia?
Francesca: La psicologia può servire ad aprire le menti, a renderle più flessibili e a far si che le persone imparino a guardare meno fuori e più dentro di se. Non può servire a cambiare gli altri, a manipolarli, a suggestionarli, non è una pozione magica che ci rende d’improvviso felici ma sicuramente è un ingrediente prezioso per vivere più consapevolmente e serenamente la nostra vita
Caterina: Ad essere felici, ad imparare o re-imparare a far entrare la vita in noi come l’aria che respiriamo. Ma le cose di cui nutrirsi, quelle vanno costruite giorno per giorno, con fatica, coraggio e amore. Un tramonto mi rende felice, se ho gli occhi, il tempo e il cuore per guardarlo, e se è l’ora del tramonto!
12) Un oggetto(libro, canzone, opera d’arte) che ti rappresenta oggi come persona…
Francesca: Non ci ho mai pensato attentamente tuttavia c’è una canzone che ultimamente ascolto spesso e che mi fa pensare alla mia vita ed è “Lontano dal tuo sole” di Neffa, un brano che parla di sofferenza ma anche di speranza. Credo di aver vissuto nella mia pur giovane vita momenti molto dolorosi, a volte è stato molto difficile rialzarsi dopo le cadute ma non ho mai perso la speranza di poterlo fare. Oggi ho una nuova consapevolezza, che la mia sofferenza mi ha portato ad essere quella che sono e dove sono, ed è per questo che voglio, attraverso il mio lavoro, insegnare alle persone a rialzarsi e a non arrendersi mai, qualunque cosa accada.
Mi piacerebbe proprio concludere quest’intervista con alcune parole tratte dal testo di Neffa:
“Sono pronto per rialzarmi ancora, è il momento che aspettavo è ora nonostante questo cielo sembri chiuso su di me… nessuno mi vede nessuno mi sente, ma non per questo io non rido più”.
Caterina: Vorrei essere come il noce, enorme, che vedo dalla mia finestra e che io chiamo il nostro calendario. Come lui vorrei accompagnare il trascorrere delle stagioni con la mia presenza, sempre in evoluzione, ma sempre lì, appassendo e rifiorendo, portando frutto o chiudendomi nei miei rami, ma restando ben piantata alle mie radici, che sono le cose che mi rendono viva e felice, la famiglia, la musica, le amicizie, la campagna, lo scrivere e anche un po’ la psicologia.