A cura della Dott.ssa Francesca Saccà, psicologa e psicoterapeuta a Roma
Quante volte le persone sensibili si sentono diverse e vorrebbero cancellare dal loro DNA questa caratteristica poiché la vivono come una condanna? Molti di voi si chiederanno se l’essere sensibili sia giusto o sbagliato, se sia segno di debolezza o di forza, soprattutto nei nostri tempi moderni, dove l’attenzione per l’anima è passata in secondo piano.
Oggi, in questo articolo, tenteremo di rispondere proprio a questi quesiti.
La sensibilità è un dono, ma va saputo usare e dosare: nel tempo e con le esperienze di vita è fondamentale imparare a utilizzarne i toni accesi senza farsi sopraffare dall’onda emotiva che, quando s’innalza, rischia di travolgerci.
Facendo ricerche su Internet per approfondire questo tema sono rimasta sgomenta nel constatare come pochissime fonti, anche in ambito psicologico, trattino questo tema. Ed è già un segnale della poca attenzione che questo mondo rivolge a questo aspetto. Quasi facesse paura scendere più a fondo nelle radici dell’animo. Ma per fortuna mi sono imbattuta in un bellissimo articolo di Francesco Lamendola dal titolo “La sensibilità è un dono raro fatto di intelligenza e di affettività matura“ (2010) on line all’indirizzo: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=32542 di cui vi consiglio la lettura integrale.
Che cosa è la sensibilità? Lamendola (2010) definisce la sensibilità come un dono raro fatto di intelligenza e di affettività matura. Sostiene: “Uno dei segni più impressionanti della marcia spietata della modernità attraverso i nostri cuori e le nostre menti, in nome di uno scientismo disumano e di un efficientismo fine a se stesso, è la progressiva scomparsa della sensibilità dal bagaglio spirituale delle persone. Intendiamoci: la sensibilità è un dono, un dono raro; le persone che la possiedono, sono portatrici di un bene prezioso che non si acquisisce con lo studio, anche se lo si può affinare con l’esperienza. Tuttavia, mentre essa veniva apprezzata o, almeno, trovava spazio per manifestarsi in una società ancora a misura d’uomo, come era quella pre-industriale (pur con tutti i suoi limiti innegabili), si direbbe che, oggi, essa sia diventata superflua e che nessuno, o molti pochi, si dolgano della sua progressiva scomparsa, come il mondo potesse benissimo farne a meno’. Le virtù dell’animo che oggi vengono maggiormente apprezzate e lodate sono l’intelligenza pratica (anche se disgiunta da una valutazione complessiva dei problemi), la determinazione nel perseguire i propri obiettivi (senza farsi troppi scrupoli), la sicurezza di sé (indipendentemente dall’esatta valutazione del proprio valore), la flessibilità mentale (spinta fino ad accettare i peggiori compromessi), la disinvoltura in qualsiasi circostanza (fino alle forme più discutibili di esibizionismo e narcisismo). La sensibilità è fra le doti non indispensabili. Che cosa se ne farebbe il cittadino del terzo millennio, tutto proteso a conquistarsi il proprio spazio sociale, a ritagliarsi la propria fettina di visibilità, di successo (anche economico), di gratificazione esteriore? In un mondo che si disinteressa di fini e di valori, ma che punta quasi esclusivamente alla soluzione di problemi pratici, a che cosa può servire la sensibilità, una dote non spendibile in termini quantitativi?” (Lamendola, 2010).
Per quanto concerne il quesito ‘sensibilità: dono o condanna?’ Lamendola evidenzia come: “La persona dotata di sensibilità possiede una ricchezza in più, che la mette in grado di cogliere aspetti del reale i quali sfuggono ad altri, alimentando così incessantemente la propria profonda umanità. Al tempo stesso, è indubbio che la persona sensibile soffre più delle altre, perché si trova esposta a quegli strali che individui dalla pelle più spessa non avvertono neppure e perché vede con maggiore chiarezza la grande distanza che separa il reale dall’ideale”.
Concordo con Lamendola nel definire la sensibilità come una ricchezza: solo la persona sensibile sa scendere nel profondo della sua essenza ed è recettiva a qualsiasi stimolo, sia esso positivo che negativo. Ha sempre gli occhi e le orecchie spalancate sulle emozioni. E’ quella persona che nel nostro mondo viene spesso additata come ‘strana’. Strana perchè sa ancora emozionarsi per un tramonto, perché quando ci parli non si limita alla superficie ma scende in profondità, perchè sa stupirsi.
Prosegue Lamendola nella sua bellissima descrizione: “Nulla di quanto accade alla persona sensibile si perde nei rigagnoli e nella palude stagnante del tirare a campare; su tutto ella medita con profonda serietà, cercando in ogni cosa il significato riposto, l’occasione di una evoluzione e di una elevazione. È ricettiva nel miglior senso dell’espressione: tutto il suo essere è spalancato sul mistero della vita. Ecco perché l’impressione di fragilità, che talvolta le persone sensibili possono dare ad uno sguardo un po’ superficiale, molte volte non corrisponde alla realtà dei fatti. È vero che, in certe situazioni, esse rimangono come disarmate, là dove altre persone non incontrano che lievi difficoltà o anche nessuna; ma è altrettanto vero che ciò vale specialmente per gli ostacoli di ordine inferiore, per quelli che coinvolgono l’essere solo superficialmente. In moltissimi casi nei quali la posta in gioco è molto più alta; casi nei quali, ad esempio, non si tratta di normali contrattempi della vita, ma di grossi ostacoli e di grosse prove, ebbene le persone sensibili sanno tirare fuori, al momento opportuno, una grinta e una determinazione invidiabili, che gli altri non si sognano nemmeno di possedere. La loro è una forza che emerge nelle situazioni più ardue, là dove è in gioco l’anima stessa di una creatura umana. Non bisogna fare l’errore di giudicare le cose guardandole solo da un punto di vista: per poterle valutare esattamente, bisogna guardarle sotto tutti i punti di vista; bisogna, per così dire, girar loro attorno, e considerarne anche i lati nascosti. La sensibilità, il più delle volte, si accompagna ad altre doti che offrono la possibilità di trarne il massimo vantaggio, in termini di consapevolezza e di pienezza esistenziale: sta al singolo individuo che l’ha ricevuta in dono, poi, di imparare a farne buon uso” (Lamendola, 2010).
Assolutamente vero. Nella mia esperienza personale e professionale ho compreso che la sensibilità è un dono che va saputo usare. E’ una dote che non tutti possiedono e che permette all’essere umano di scendere nelle profondità dell’anima e respirarla nella sua essenza più profonda. Non tutti possiedono questa capacità e chi ce l’ha la deve tenere stretta.
Di certo però, come ogni dote, non bisogna abusarne e soprattutto va ‘dosata’. Dosare la propria sensibilità significa imparare a vivere le emozioni senza esserne sopraffatti. Saper scendere nel profondo della nostra essenza indubbiamente ci arricchisce: nella vita intima e privata così come in quella sociale.
Spero che la riflessione di oggi abbia permesso a tutte le persone sensibili di smettere di ritenersi diverse bensì di iniziare a sentirsi speciali perché lo sono davvero.
E se vi capita di emozionarvi ancora di fronte a un tramonto o a piangere mentre un fiume di ricordi attraversa la vostra mente sappiate gioirne perché vuol dire che sapete ancora ascoltare la vita che fluisce, vi attraversa e vi trasforma. In quei momenti siete qualcosa in più…
Riferimenti bibliografici
“La sensibilità è un dono raro fatto di intelligenza e di affettività matura” Articolo a cura di di Francesco Lamendola – 24/05/2010
https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=32542