Stalking in rosa: quando la vittima è un uomo

donna stalker

 

A cura della Dott.ssa Francesca Saccà, psicologa e psicoterapeuta a Roma

Con il termine stalking si intende una “forma di aggressione messa in atto da un persecutore che irrompe in maniera ripetitiva, indesiderata e distruttiva nella vita privata di un altro individuo, con gravi conseguenze fisiche e psicologiche” (Gargiullo e Damiani, 2008). Il termine è inglese (deriva da ‘to stalk’) e indica “fare la posta, braccare, pedinare”; si riferisce a comportamenti atti a osservare e conoscere il comportamento della preda al fine di poterla catturare: non avendo equivalenti nella nostra lingua, la traduzione che più frequentemente viene adottata è “molestie assillanti”.

Nella sindrome del molestatore assillante è dunque possibile distinguere un soggetto attivo, il molestatore o stalker, ed un soggetto passivo, ossia la vittima nei cui confronti lo stalker sviluppa un’intensa polarizzazione ideo-affettiva e verso cui mette in atto una serie ripetuta di comportamenti tesi alla sorveglianza e/o comunicazione e/o ricerca sistematica di contatto (Benedetto, Zampi, Messori, Cingolani, 2008).

Ad oggi prevale, nella nostra società, la figura della donna come ‘vittima’ di violenza da parte dell’uomo, che sia essa domestica o esterna all’ambiente familiare. Negli ultimi anni, però, sono stati molti i titoli di giornali che ci hanno comunicato di omicidi, atti di violenza e stalking da parte di donne. Lo stalking infatti non è un fenomeno di genere. Sia donne che uomini possono essere vittima o persecutore, entrambe possono aggredire fisicamente, psicologicamente, possono appostarsi, pedinare, creare danni alle cose, minacciare, possono essere persistenti, molestanti in modo assillante.

Al momento si contano il 70% di uomini molestanti contro il 30% delle donne. E alla base di questo dato possono esserci vari fattori, “il Silenzio degli uomini” può costituire uno di questi. Per Silenzio degli uomini, come ben descrive Laia Caputo  (“Il silenzio degli uomini”, Feltrinelli, 2012), si intende anche un silenzio più atavico, un mancato riconoscimento e mancata esplicitazione delle emozioni umane, in particolare la Paura. Gli uomini cioè, difficilmente dicono “ho paura!”. La società rimarca sempre sul loro coraggio, sulla forza, sull’atto eroico, che indubbiamente ci sono, ma mai si parla anche di paura, anch’essa presente. Ad oggi dunque gli uomini, tacendo più che mai le proprie emozioni, si trovano in un disorientamento totale, si trovano ad essere come pentole a pressione, pronte ad esplodere all’ennesima frustrazione, incomprensione, all’ennesima mancanza. Ecco che lo stalking rappresenta una delle possibili reazioni, una delle tante possibili forme di quest’esplosione rabbiosa. In questa confusione, talvolta le donne anziché continuare a coltivare la propria identità, rimarcano le vesti e le dinamiche violente maschili e così si distinguono per la loro molestia assillante, ai danni degli uomini.

La “normalizzazione” pubblica della violenza femminile – messaggi pubblicitari, spettacolitelevisivi, cinema, stampa, video web – crea assuefazione ed abbassa l’allarme sociale. Può una forma di violenza essere considerata politically correct, qualunque essa sia? Al riguardo vi è un’interessante e recente indagine dal titolo: “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile” ( Y. Abo Loha, G. Gallino, S. Gascò,  G.P. Macrì, C. Manzari, V. Mastriani, F. Nestola, S. Pezzuolo, G. Rotoli, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 2012). L’indagine è finalizzata a raccogliere elementi di valutazione ancora inesistenti nel nostro Paese, utili a verificare se esista, ed eventualmente in che misura, una realtà diversa da quella fondata esclusivamente su condizionamenti, luoghi comuni e pregiudizi. Si tratta di un’indagine ufficiosa, ma rappresenta l’unica fonte in assenza di indagini ufficiali.

L’analisi dei dati raccolti smentisce la tesi della violenza unidirezionale U>D e le sovrastrutture culturali che ne derivano. La teoria secondo la quale la violenza U>D sia la sola forma diffusa, quindi l’unica meritevole di contromisure istituzionali, si rivela quindi un postulato indimostrato ed indimostrabile, generato esclusivamente dal pregiudizio. Sono pertanto prive di fondamento le teorie dominanti che circoscrivono ruoli stereotipati: donna/vittima e uomo/carnefice. Dall’indagine emerge come anche un soggetto di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa di violenze fisiche, sessuali e psicologiche; quindi anche un soggetto di genere maschile possa esserne vittima. Il fenomeno della violenza fisica, sessuale, psicologica e di atti persecutori, in accordo con le ricerche internazionali, anche in Italia vede vittime soggetti di sesso maschile con modalità che non differiscono troppo rispetto all’altro sesso.

L’indagine inoltre dimostra che le modalità aggressive non trovano limiti nella prestanza fisica o nello sviluppo muscolare; anche un soggetto apparentemente più “fragile” della propria vittima può utilizzare armi improprie, percosse a mani nude, calci e pugni secondo modalità che solo i preconcetti classificano come esclusive maschili. La significativa rappresentatività nel campione di soggetti con prole ha fatto emergere l’effettiva strumentalizzazione che i figli hanno all’interno della coppia in crisi.

Il dato più evidente riguarda le violenze psicologiche, testimoniate dal campione in percentuali significative. Solo il 2,1% ha dichiarato di non averne mai subite.

Al termine di questa ricerca, ciò che gli autori auspicano è che il fenomeno venga ulteriormente approfondito dagli organi  istituzionali, indagando  con  identici strumenti e modalità un campione composto da un uguale numero di donne ed uomini, secondo criteri di trasparenza ed imparzialità sino ad oggi sconosciuti.

“Quando parliamo di abusi emotivi o fisici è sbagliato identificare sempre l’uomo come carnefice e la donna come vittima. Anche gli uomini subiscono abusi da donne violente, ed è sempre più frequente. Il vero problema è che spesso rimangono in silenzio, per vergogna e per paura di essere ridicolizzati. Infatti un uomo che denuncia la violenza di una donna spesso si trova ad essere deriso e quasi m…ai compreso. Normalizzare o minimizzare la violenza femminile abbassa l’allarme sociale e aumenta la resistenza dell’uomo a denunciare gli abusi che subisce. Condizionamenti, luoghi comuni e pregiudizi vanno combattuti perché tutti hanno diritto ad essere difesi quando subiscono violenza” Dott.ssa Francesca Saccà

 

Siti consultati:

La storia di una stalker e il silenzio degli uomini. Articolo pubblicato il 5 settembre 2013 sul blog stalking-fra-vittima-e-persecutore.over-blog.com (Spazio di confronto, di ricerca di sè, di trasformazione, per non essere più Vittime nè Carnefici) on line su: https://stalking-fra-vittima-e-persecutore.over-blog.com/la-storia-di-una-stalker-e-il-silenzio-degli-uomini

“Stalking: Sono le Donne le Più Violente”. Articolo a cura di  Alessia Offredi il 12 feb 2013 on line su: https://www.stateofmind.it/2013/02/stalking-donne-violente/

Una nuova indagine sulla violenza verso il mondo maschile. 6.000.000 di vittime. Articolo pubblicato il 10 novembre 2013 on line su: https://www.adiantum.it/public/3193-una-nuova-indagine-sulla-violenza-verso-il-mondo-maschile.-6.000.000-di-vittime.asp?pagin=3&ordine=commenti-idComm01-desc

 

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